L’origine dell’eremo di Santa Giustina, sebbene non esistano notizie certe della sua esistenza prima del XVI secolo, dovrebbe essere più antica, soprattutto dando credito alla tradizione che vuole il luogo abitato sin dal VII secolo dal monaco Secondo da Trento, confessore e consigliere della regina Teodolinda, ivi rifugiatosi e morto nel 612.
A parte questo, l’eremo deve il suo nome al culto di matrice longobarda per la martire Giustina e dai resti tutt’ora in sito si desume la presenza di una antica chiesetta (già dedicata ai ss. Cipriano e Giustina) e di una dimora eremitica: il tutto al riparo di un’enorme cavità naturale lungo il canyon del fiume Noce.
Il complesso, nonostante l’avvicendarsi di diversi eremiti che, almeno fino al 1782, vi hanno dimorato, è però destinato ad una lenta ma inesorabile rovina rischiando di scomparire del tutto.
- Località: Dermulo di Predaia (TN)

La storia dell’Eremo di Santa Giustina
La chiesetta è nominata per la prima volta negli Atti visitali del 1537 (il principe vescovo Bernardo Clesio dette inizio alla prassi delle visite pastorali sul territorio diocesano, i cui verbali confluirono pure in una serie denominata appunto “Atti visitali”). Questi documenti ci forniscono alcune interessanti e curiose notizie.
Nel 1579 i visitatori discesero da Dermulo alla chiesa situata ad radicem altissmae rupis supra flumen Nocis, et discensus per scalas factas in vivo lapide ac pensiles satis difficiles et pericolosas. Quando arrivarono esaminarono l’altare che trovarono non consacrato e privo del necessario per la messa. I Sindaci erano debitori di 30 Ragnesi (moneta dell’epoca) e dovettero impegnarsi per i relativi restauri.

Nel 1616 l’altare era fornito di pietra portatile e l’occorrente per la messa si portava di volta in volta da Taio.
Nel 1617 la custodia era affidata al rev. Giovanni Giacomo Etterarter, originario del luogo, che era stato nominato eremita dal parroco di Taio e dalla comunità di Dermulo. Alla sua morte nel 1632 lasciò alla chiesa di Dermulo 111 Ragnesi, con l’obbligo di far celebrare ogni anno 7 messe nella chiesa di Santa Giustina.
Nel 1642 l’eremo era tenuto da un certo Don Telesforo, seguito da un Girardello da Tres. Durante l’inverno, data la difficoltà per raggiungere il luogo, si permetteva all’eremita di dimorare a Dermulo in una casupola di proprietà della comunità.
Il 6 novembre del 1693 fu concesso l’abito di eremita a fra Giovanni Battista Gilli, con facoltà di abitare l’eremo. Nell’occasione della visita pastorale del 1695 mostrò ai visitatori e suoi documenti e promise, con l’aiuto degli abitanti di Dermulo, di riparare il tetto della chiesetta. Aveva ottenuto dall’imperatore Leopoldo I la “patente” per poter elemosinare per tutta la Germania. Quanto raccoglieva poteva usarlo per il proprio sostentamento, ma non per beneficiare parenti o altre persone, e tutto quello che gli avanzava era obbligato a impiegarlo per il beneficio della chiesa e dell’eremo.
Dopo la sua morte ci fu una controversia per la nomina del successore e nel 1699 Don Cristoforo Campi, arciprete di Torra, assegnò il romitorio al venerando anacoreta Bartolomeo Sandri da Tuenno. Questi coltivava un piccolo orto presso il romitaggio e viveva di elemosina. Morì nel 1724 e fu sepolto nel cimitero di Dermulo. Ebbe come successori 3 eremiti: Giacomo Mozzer, Francesco Fuganti e Francesco Bergamo, ma non durarono a lungo insieme a Santa Giustina.

Nel 1741 troviamo due nuovi eremiti: Giovanni Antonio Fuganti da Taio e Pietro Antonio Cavosi da Sfruz. Quest’ultimo esercitava il mestiere di vetraio e da due anni e mezzo era eremita a Santa Giustina.
La visita del 1742 prescrisse alcuni provvedimenti e sentita la relazione del decano e della comunità circa il comportamento dei due eremiti, la poca armonia che regnava tra loro, la scarsa cura del romitorio e le infrazioni dei capitoli che avevano promesso di osservare, i visitatori imposero di deporre entro 25 giorni l’abito di eremita e di tornare alle proprie case.
Nel 1759 le condizioni del romitaggio erano migliorate.
Nel 1766 l’eremita era Giovanni Battista Rosetti da Taio. Custodiva con cura le cose della chiesa, si confessava almeno una volta al mese, era assiduo alla dottrina ecclesiastica, recitava ogni giorno le sue preghiere. Il Rosetti ebbe per alcuni anni un tenore di vita povera e quieta, ma poi, inasprito da alcuni litigi con gente di Dermulo, cominciò a darsi alla depravazione. Quindi l’Ufficio ecclesiastico, avuto le prove che il Rosetti conduceva una vita disdicevole lo indusse a deporre l’abito di romita con la minaccia di denunciarlo alle forze dell’ordine.

Nel 1780 la patente di romito fu data a Pietro Frasnel, ma neppure quest’ultimo conduceva una vita monastica e due anni dopo, denunciato il suo comportamento e ribelle all’ingiunzione di lasciare l’eremo, lo convinse solo la minaccia di essere condotto in prigione.
Dopo di allora l’eremo e la chiesa rimasero abbandonati e, poco per volta, caddero in rovina.

Il ponte di ferro costruito dal 1886 al 1889 per congiungere le due sponde della forra del fiume Noce venne chiamato col nome di Santa Giustina, così come il lago formatosi dallo sbarramento del Noce con la diga nel 1951.
Della chiesetta di Santa Giustina si conserva ancora, in quella di Dermulo, l’antica e bella pala dipinta su legno rappresentante la Madonna e i santi Cipriano e Giustina.
Vai invece qui per la storia della chiesetta di Santa Emerenziana a Tuenno.
Mauro Valentini