La Val di Non ha una storia incredibile e molto antica, spesso ignorata dai propri abitanti. In questo articolo, Sergio de Carneri ci porta alla scoperta di una parte di questa storia, attraverso castelli, leggi e tanti altri interessanti spunti, il tutto in un’ottica presente.
De Carneri, nato a Cles nel 1931, è una delle figure più affascinanti della nostra terra. Avvocato, venne eletto alla Camera dei deputati nel 1972, rimanendovi per due legislature, fino al 1979.
Oggi, sul blog del Pineta, abbiamo l’onore di ospitare questo suo scritto. Buona lettura a tutte le nostre lettrici e ai nostri lettori!
Storia della Val di Non tra castelli e leggi in una visione presente
La metodica opera di acquisizione, restauro e valorizzazione di castelli e manieri in Val di Non, grazie anche al decisivo sostegno della Provincia, ha consentito alle comunità locali di appropriarsi di un importante patrimonio storico, artistico e paesaggistico che renderà la Valle più attrattiva anche dal punto di vista turistico.
Tuttavia, quando con un senso di gratificazione – da nònes di antica radice – guardo le suggestive rappresentazioni dei complessi restaurati, Castel Thun, Castel Valer e Castel Belasi, mi sovvengono, come un controcanto, i versi di una poesia “en nònes” sulla Valle, che porta una nota dissonante.
Questi sono i versi: “sén la tèra dei pomari/ ma ancja chéla dei cjastei /per trei bòte i én destruti / sol adèss i ne empàr bèi!.”
Castelli della Val di Non: storia e presente
E infatti questi manieri sono la rappresentazione di una parte sola della storia della Valle, e non offrono chiavi interpretative delle autentiche ragioni per cui le popolazioni delle valli di Non e Sole sono insorte in massa, per tre volte nel corso di poco più di un secolo, contro il potere feudale, assaltandone le roccaforti.
Se affrontiamo più approfonditamente queste tematiche, cui la storiografia ufficiale destina assai meno spazio di quello riservato alle vicende delle grandi dinastie feudali insediate in quei castelli, dobbiamo constatare che le motivazioni e le rivendicazioni di queste guerre rustiche hanno una natura assai diversa e più complessa di quella, riduttiva, che ci viene tradizionalmente rappresentata.
Non si trattava infatti solo di esplosioni della collera popolare per la miseria, i balzelli, le angherie e le corvées imposte dai feudatari, bensì di un moto eminentemente politico per una radicale riforma dei poteri delle due valli e dei diritti dei valligiani.
E quindi di un programma strutturato che si fondava su una visione profondamente critica delle storture e delle atrocità del sistema politico e giudiziario di allora, e nel contempo introduceva ferree norme che conferivano alle Valli e a ciascun abitante, rispettivamente competenze e diritti di tutela della libertà delle persone e di salvaguardia dei beni, in sede dei processi sia penali che civili.
Ma un tale moto rivoluzionario, come poteva essere concepito e realizzato in una valle periferica del Principato di Trento agli albori del 1400 e in una Europa ancora immersa nel tardo medioevo? Eppure la storia ci dimostra che in quell’epoca già esisteva nella valle del Noce l’humus culturale e politico per consentire il sorgere di queste spinte innovatrici.
I fattori che lo hanno consentito sono innanzitutto lo straordinario patrimonio identitario di quelle popolazioni, gli Anauni su tutti. Già nel 46 dopo Cristo l’editto dell’imperatore Claudio che conferiva la cittadinanza romana, riconosceva che queste popolazioni erano già così profondamente inserite nel tessuto politico dell’Impero romano da fornire un numero significativo di ufficiali alle legioni e di magistrati per l’amministrazione della giustizia in Roma.
Ma il nome dell’Anaunia o di qualche personalità anaune compare sempre, in vari e rilevanti eventi, anche nei secoli che seguirono. Si trattava quindi di una comunità dotata, oltre che di una propria lingua strutturata (romano retica), di una forte consapevolezza della propria identità e dei propri diritti, sia personali che della comunità delle valli.
In secondo luogo, dalle ricerche di Virgilio Inama, apprendiamo che già dal 1369 era attiva in valle una scuola di insegnamento della lingua latina e del diritto, che notai, avvocati e i ceti acculturati della Valle sostenevano a proprie spese. È quindi legittimo ritenere che da questa scuola siano usciti il personale e i quadri che hanno dato veste giuridica e politica agli eventi del 1407.
Privilegi delle Valli di Non e di Sole
Infatti nei “Privilegi delle Valli di Non e di Sole” emanati dal Principe Vescovo il 31 marzo 1407, in accoglimento delle rivendicazioni degli insorti, sono formulati nuovi e innovatori diritti riconosciuti alle Valli e alle persone in esse insediate. Si trattava di norme che mutavano alla radice gli assetti giuridici preesistenti e che affermavano principi che sono ancor oggi alla base dell’amministrazione della giustizia nei paesi democratici.
Innanzitutto l’immutabilità del giudice naturale, rappresentato allora dallo speciale giudice delle due valli, e il divieto di portare fuori dalle valli qualsiasi persona appartenesse a quella comunità, per sottoporla a processo avanti ad altro giudice.
Poi un diritto fondamentale, quello di nominare e farsi assistere da un avvocato sia nelle cause penali che in quelle civili. Poi il diritto a vedersi contestato con atto scritto il capo di imputazione e di vedersi assegnato un congruo termine per predisporre le proprie difese.
Norma contro la tortura
Era poi incombente allora nei processi penali l’incubo della tortura. Sul suo impiego si fece gravare, con una specifica norma dei “Privilegi” il peso del controllo popolare. Si previde infatti che due uomini autorevoli eletti dalle valli dovevano essere presenti quando il magistrato inquirente intendeva infliggere la tortura e controllare se le decisioni e la condotta del magistrato fossero conformi a diritto (“videre si juris est”).
Queste riforme infrangevano i capisaldi del “rito inquisitorio” che vigeva da secoli e che in pratica affidava le sorti dell’indagato, carcerato e indifeso, all’arbitrio incontrollato dell’inquisitore.
La “Carta delle libertà” del 31 marzo 1407, estesa poi a tutto il Trentino, è una fiaccola di civiltà nella tenebra di una Europa che solo tre secoli dopo iniziò a parlare di diritti dell’uomo, di necessità del difensore nei processi, di abolizione della tortura.
Ma dove sono le strade, le piazze, i monumenti, le scuole, che nell’Anaunia ricordino le straordinarie conquiste dei padri, anticipatrici delle libertà di oggi? La grande maggioranza dei Nònesi e dei Solandri ignora del tutto, ancora oggi, questo passato insigne, che le istituzioni dell’autonomia hanno finora, nel corso di 70 anni, sistematicamente rimosso.
Riconoscimento del gruppo linguistico ladino retico dell’Anaunia
Per questo, la battaglia per il riconoscimento del gruppo linguistico ladino retico dell’Anaunia – la più antica e consistente minoranza linguistica del Trentino – e per una Comunità di Valle dotata di tutti i poteri necessari per darle compiutamente corpo, anche e innanzitutto culturale, è legittima, e corrispondente al dettato dell’articolo 2 dello Statuto regionale che sancisce e pone a fondamento dell’autonomia speciale, i diritti dei gruppi linguistici nel Trentino Alto Adige e dei loro appartenenti.
Sergio de Carneri